
Antonio De Bellis
Author(s) -
Giuseppe Gambino
Publication year - 2020
Publication title -
eviterna
Language(s) - Italian
Resource type - Journals
ISSN - 2530-6014
DOI - 10.24310/eviternare.vi8.9781
Subject(s) - humanities , art
Il Seicento napoletano fu caratterizzato da un così grande fermento culturale e artistico da meritarsi l’appellativo di Secolo d’Oro. Una miriade di architetti, scultori, pittori e artigiani diedero vita a opere di grande pregio che cambiarono per sempre il volto della capitale del Viceregno.
Tra i pittori ai tempi più apprezzati, come dimostrano le tante opere che oramai fanno parte del suo catalogo, ma per tanto tempo caduti nell’oblio, anche per la quasi totale assenza di dati documentari, c’è sicuramente Antonio De Bellis: un artista che dagli anni ’70 del Novecento ha stuzzicato l’interesse degli studiosi entrando anche a far parte della rosa di pittori coinvolti nella vexata quaestio sull’identità del Maestro degli Annunci ai pastori.
Spesso confuso con il Cavallino, a riprova della qualità di molte sue opere, dal quale si discosta per un certo arcaismo persistente in tutta la sua opera, il suo percorso artistico affonda le radici nel Naturalismo di matrice caravaggesca, ‘napoletanizzato’ da Battistello, Filippo Vitale e dal deus ex machina della pittura di quel periodo nella città partenopea, Jusepe de Ribera. E seguendo le orme di quest’ultimo, come tanti altri partecipa a quella rivoluzione coloristica che arriva da un lato da Roma, tramite la riscoperta dei Maestri veneti del ‘500 da parte di un gruppo di pittori francesi, primo fra tutti Poussin, e dall’altro dalle tele piene di luce ‘mediterranea’ del Van Dyck.
Il tentativo di Antonio di mantenere il legame con i modi della sua formazione, pur aderendo a queste nuove istanze, non regge però a lungo e quelle che al momento sono ritenute le sue ultime due tele, non hanno quel mordente che aveva caratterizzato invece la sua produzione precedente.